L’Odontoiatra nella sua Pratica Clinica Quotidiana, si trova nella costante condizione di affrontare scelte diagnostiche, prognostiche e terapeutiche inerenti la sua branca specialistica.
Esso è molto attento nella valutazione della salute e della prevenzione delle patologie dentali e parodontali dei Suoi Pazienti, sia che debba portare a termine una terapia conservativa, endodontica, protesica, implantologica, orto- dontica, etc. Le Sue valutazioni vengono infatti effettuate sopratutto alla luce del rapporto odonto-parodontale e viceversa, allargando l’attenzione al rapporto interocclusale esistente tra i denti opponenti ed antagonisti delle due arcate dentali. Ma questa verifica diagnostica, rimane spesso incompleta nei confronti dei tessuti muscolari, articolari ed ossei dell’Apparato Stomatognatico, su cui poi realmente la sua riabilitazione andrà ad inscriversi.
Infatti, una visione più panoramica dell’intero Apparato Stomatognatico, gli permetterebbe di modificare molti Piani Terapeutici odonto-parodontali, che prevedono il coinvolgimento e/o la modifica dell’occlusione dentale preesistente al fine di adeguarne l’integrazione con l’intero Distretto Cranio-Cervico-Mandibolare, sia in senso muscolare che osteo-articolare, non prima di avere ricondotto alla norma i suoi parametri funzionali nonché, -ove coesistano-, anche quelli sintomatologici.
Inoltre molte Terapie Odontoiatriche impongono all’Operatore Sanitario, di richiedere al Paziente una estesa o eccessiva apertura del cavo orale, spesso per un periodo di tempo prolungato.
Ciò avviene in particolare durante alcuni interventi esodontici o endodontici degli ultimi molari delle due arcate, soprattutto ove con rigore operativo sia stato effettuato l’uso della diga , ovvero nel corso di procedure terapeutiche di avulsione chirurgica di elementi dentali disodontiasici soprattutto dell’arcata inferiore, in cui possono essere applicate anche involontariamente delle forze incongrue sulla mandibola, quindi anche sulle articolazioni temporo-mandibolari, coinvolgendo e stressando anche la muscolatura cranio-facciale.
Ciò purtroppo avviene anche in altre branche Specialistiche meno sensibili a queste problematiche, come in Otorino-laringoiatria (interventi prolungati, visite a bocca spalancata etc.), in Anestesia Generale (uso del laringoscopio , intubazione per via orale), etc.
L’intervento dell’Odontoiatra nella bocca di un Paziente è richiesto proprio per il fatto che nella Sua bocca qualcosa si è modificato dando una “patologia”, ovvero per la esigenza di effettuare una riabilitazione protesica che è finalizzata alla soluzione di un’edentulia o per una terapia ortodontica che è anch’essa correlata alla soluzione di un “patologia”.
Una Carie, una Malattia Parodontale, una Malocclusione, una Edentulia, che impongono la esigenza di Terapie o di una Riabilitazione Ortodontica o Protesica, infatti sono tutte patologie dell’Apparato Masticatorio.
Infatti la Carie, che è caratterizzata da lesioni e/o alterazioni della integrità dentale e la sua potenziale influenza sull’occlusione, così come l’Edentulia con la perdita del rapporto occlusale fra il dente (o i denti) andato perduto con l’antagonista, generano una occlusione instabile e differente da quella preesistente.
Anche la Malattia Parodontale con incentiva frequentemente delle migrazioni dentali e delle instabilità occlusali e la Malocclusione come evento di patologia ortognatodontica, si accompagnano sempre ad una modifica dello “status occlusale” preesistente. Il rapporto Interocclusale preesistente, poteva essere congruo o incongruo, ma comunque compensato dai “poteri di adattamento biologico”.
Tali modificazioni possono esitare nel tempo, prima in un sovraccarico funzionale, quindi in una parafunzione e successivamente in una Disfunzione dello Apparato Stomatognatico.
Nessun “Paziente Odontoiatrico”, proprio per il fatto che la sua bocca “non è più nella Norma Anatomica”, può essere ritenuto nella “Norma Funzionale”. Pertanto esso non può essere riabilitato dallo Odontoiatra nel suo preesistente “rapporto intermascellare”, dando per scontato che nulla è cambiato a seguito della “patologia” per cui è in terapia , senza che questo “rapporto” venga prima studiato e rivalutato ed eventualmente modificato e riportato alla norma , sia per quanto attiene al suo equilibrio muscolare ed articolare, che per quanto attiene al rapporto spaziale tridimensionale tra le basi ossee (mascellare superiore e mandibola).
Infattii nostri “poteri di adattamento” insiti nel nostro “sistema biologic, o” garantiscono solo per poco tempo e solo entro certi limiti, un compenso ed un equilibrio, che diventa sempre più precario nel tempo fino al suo definitivo pregiudizio. Non solo il tempo, ma altri fattori e cofattori possono influenzare e decrementare i nostri “poteri biologici di adattamento”, che oltre un certo limite esitano anche asintomaticamente prima in “parafunzione” e poi “in disfunzione conclamata”. Ciò fa si che un ottimo approccio Diagnostico-Prognostico strettamente Odontoiatrico, con un ineccepibile Piano Terapeutico conservativo, protesico o ortodontico, possa essere inadeguato o deleterio per un Apparato Stomatognatico con un quadro disfunzionale in atto o in cui siano presenti dei segni e sintomi facilmente intercettabili con l’uso di una adeguata impostazione diagnostica più globale, in cui l’intero panorama stomatognatico e le relative correlazioni extrastomatognatiche vengano tenute in giusta e attenta considerazione. Infatti, un corretto rapporto occlusale non può prescindere da un adeguato rapporto anatomo-funzionale dei condili con i rispettivi menischi e le relative cavità articolari, in cui essi siano correttamente relazionati in statica, con buona centratura dei condili all’interno della cavità glenoidea delle ossa temporali, come non può non tenere in considerazione gli equilibri neuromuscolari del distretto cranio-mandibolare e quelli che questo intrattiene con il rachide cervicale ed il cingolo scapolare. Quest’aspetto, già in parte noto ad Ippocrate, padre della Medicina Greca dell’Isola di Cos, ed a cui oggi è sensibile un numero sempre maggiore di Specialisti, non ha però avuto negli anni passati sufficienti proseliti.
Ciò ha causato un eccessivo controllo e rispetto dello “evento occlusale e odonto-parodontale”, disgiunto da una valutazione più attenta e globale dell’intero Apparato Mio-Osteo-Articolare del Distretto Cranio-Cervico-Mandibolare e dai rapporti posturali e funzionali, che quest’ultimo intrattiene con gli altri distretti nel nostro organismo.
Anche se risulta ancora oggi estemamente dibattuta dalle varie Scuole, quale sia la posizione ideale che il condilo mandibolare debba assumere nei confronti della cavità glenoidea dell’osso temporale, è indubbio che questa posizione, presente o acquisita con la terapia, possa essere stabilmente garantita esclusivamente dalla massima e stabile intercuspidazione assunta dai denti delle due arcate dentarie con una coesistenza dell’equilibrio statico con quello funzionale ed armonico della cinematica mandibolare.
Ma questo rapporto può essere reputato corretto, solo nel caso in cui l’equilibrio occlusale sia coincidente con quello muscolare e articolare, cioè se la massima intercuspidazione consente e stabilizza un corretto rapporto condilo-menisco-cavitario e neuromuscolare della muscolatura stomatognatica.
Ciò infatti non significa assolutamente che ad ogni buona occlusione debba corrispondere necessariamente un buon equilibrio oste-mio-articolare del distretto cranio-cervico-mandibolare, ma che ottenutolo nel caso in cui non era presente, solo realizzando una valida intercuspidazione dei denti in quel rapporto funzionale, è possibile mantenerlo.
E’ possibile quindi ritenere che il fattore determinante primario, -ma non l’unico fattore-, che influenza la posizione condilare ed i suoi rapporti funzionali intracapsulari , sia proprio l’occlusione.
Ma questo rapporto intermascellare, pur se pre-esistente può andare nel tempo incontro a modificazioni da abrasione, da usura, da perdita di elementi dentari per le cause più svariate o da migrazione per eventi patologici del parodonto, o in seguito a riabilitazioni conservative o protesiche incongrue.
Sicuramente la pluralità sintomatologica che caratterizza le disfunzioni muscolari e articolari dell’Apparato Stomatognatico, con la cefalea, la cervicalgia, l’ipoacusia, gli acufeni, i capogiri, la limitazione di apertura della bocca, e dei suoi ranges funzionali, i rumori articolari (A.T.M.), etc., accompagnati da sintomi appartenenti anche ad altre discipline specialistiche che si occupano dei distretti anatomici contigui, distoglie quotidianamente l’attenzione dei vari Specialisti, sempre più Specialisti della propria branca medica e sempre meno attenti ad una visione più olistica, panoramica e globale.
Ma sono soprattutto i Casi Asintomatici o Oligosintomatici di Disfunzione Cranio-Cervico-Mandibolare (D.C.C.M.) ad essere i più insidiosi, perché in questi Casi Clinici il Paziente è subito pronto a disconoscere la propria patologia, ed il Clinico può non identificarli se non utilizza un’adeguato Approccio Semeiotico Clinico Intercettivo, finalizzato proprio alla Intercettazione del Paziente Disfunzionale ATM e Cranio-Cervico-Mandibolare nella Pratica Clinica Odontoiatrica quotidiana. Tale “Protocollo Clinico Intercettivo”, per essere utilizzato regolarmente anche dall’Odontoiatra Generico, ovvero dai Colleghi delle branche Specialistiche Complementari (Otorinolaringoiatra, Anestesista, Chirurgo Generale ,etc) deve essere : semplice, veloce, pratico ed altamente predittivo.
La disponibilità di un semplice e pratico “Protocollo Diagnostico Intercettivo”, di un semplice, razionale e standardizzato “Protocollo Diagnostico Specifico” per Pazienti affetti da una Disfunzione Cranio-Cervico-Mandibolare e di uno specifico e Protocollare Indirizzo Terapeutico, oggi possono permettere ad un maggiore numero di Odontoiatri la possibilità di trattare nella pratica clinica quotidiana l’Apparato Stomatognatico nella sua interezza, deputando all’intervento specialistico dello Gnatologo Clinico, esclusivamente il trattamento dei Casi più complessi.
Questo approccio globale permette inoltre di mettere in guardia anche l’Operatore Sanitario più inesperto o meno attento, nei confronti di interventi occlusali e odonto-parodontali che mal si prestano ad una “integrazione biologica e funzionale con l’Apparato Stomatognatico” o peggio possano rappresentare per esso un ulteriore motivo di squilibrio o un’evento iatrogeno
Questo può far precipitare una condizione clinica preesistente instabile ed evidenziare un quadro disfunzionale ancora silente od oligosintomatico, in cui i segni ed i sintomi non siano stati preliminari opportunamente indagati e inquadrati nosologicamente. In questo caso è possibile effettuare solo le “Terapie Odontoiatriche d’Urgenza “ , che non coinvolgano in modo “irreversibile il tavolato occlusale” dei denti del Paziente , al fine di non modificare ulteriormente un “pattern anatomo-funzionale già squilibrato perchè disfunzionale .
Il ”Protocollo Diagnostico Intercettivo” con il “Test di Audino”, a lungo sperimentato fin dall’anno 1992, e successivamente pubblicato nella Rivista Andi Sicilia del n°1 dell’ anno 1996 e successivamente presentato in vari Congressi, forniscono in pochi minuti all’Odontoiatra Generico, -ovvero al Pediatra, all’Otorinolaringoiatra, all’Anestesista o a qualunque altro Sanitario debba intervenire nella bocca di un Paziente- , chiare informazioni circa la funzione osteo-articolare-muscolare dell’ Apparato Stomatognatico, del suo Paziente, riducendo così il rischio di rendere pregiudizievole una Disfunzione-Cranio-Cervico-Mandibolare preesistente, ancorchè asintomatica o oligosintomatica.
Il “TEST di AUDINO” è quindi finalizzato esclusivamente alla intercettazione diagnostica del Paziente D.C.C.M., e non alla qualificazione e quantificazione della patologia , delle sue cause,del suo grado , della sua prognosi,che rappresentano una premessa fondamentale per la istruzione di un Piano Terapeutico.
Intercettare una patologia e/o una disfunzione , è molto diverso dal diagnosticarla !
Il “TEST di AUDINO” , utilizza un test muscolare, un test articolare ed un test funzionale ed inoltre prende in considerazione alcuni tra i Sintomi più frequenti in una D.C.C.M.
- Il Test Muscolare prende in considerazione i muscoli temporali anteriori, che sono tra muscoli più rappresentativi , quelli più facilmente identificabili e palpabili con la tecnica della digitopressione, anche dell’Odontoiatra Generico o da altro Specialista meno esperto.
- Il Test Articolare usa lo stesso principio della palpazione , che in questo caso viene effettuata ai poli laterali delle due A.T.M. , sia con tecnica superficiale che profonda. Questo test prende in considerazione soprattutto la eventuale presenza di dolore , ma il Clinico più esperto può apprezzare contemporaneamente sia la “resilienza articolare” , che la eventuale manifestazione algica proveniente dal polo mediale destro e/o sinistro delle due A.T.M,
- Il Test Funzionale valuta la misura della massima apertura della bocca raggiungibile dal Paziente, effettuata con un semplice dentimetro o con un righello , rilevando la misurazione della distanza compresa tra i margini due incisivi centrali superiori ed inferiori. Tale misurazione può essere effettuata in modo più probante , facendo ripetere al Paziente almeno tre aperture orali, -non immediatamente consecutive- , riportando nella Cartella Clinica della “Indagine Intercettiva per D.C.C.M. del Test di Audino” , il valore risultante dalla media aritmetica delle tre aperture , ricordandosi di aggiungere anche la misura dell’over-bite (misura compensatoria approssimativa) , in quanto facente parte del percorso funzionale della mandibola.
Il "TEST DI AUDINO" , è accompagnato da un “METODO di VALUTAZIONE “,-che è di notevole aiuto sopratutto per il Clinico meno esperto-, che permette inoltre di attribuire un corretto significato ad ogni fase del Test. Questa “Indagine Intercettuiva“ si conclude con la Valutazione dell’eventuale presenza di alcuni Sintomi particolarmente frequenti e significativi nelle D.C.C.M.
Anche in questo caso le Conclusioni vengono agevolate dall’uso di uno specifico “METODO di VALUTAZIONE “.
Un altro TEST utilizzabile per la Intercettazione del Paziente D.C.C.M. è quello del “ Protocollo Minimo del St. Josef Hospital” proposto da Tore Hansson , in cui vengono tenute in considerazione le seguenti valutazioni :
- Test dell’END FEEL delle A.T.M. (elasticità residua di fine campo)
- Test del Dolore Statico
- Test del Dolore Dinamico
- Test del Gioco Articolare
- Valutazione di alcuni Sintomi particolarmente significativi
Nel caso in cui un Paziente risulti positivo al ”Protocollo Diagnostico Intercettivo” effettuato con il “Test di Audino”, ovvero con il “ Protocollo Minimo del St. Josef Hospital” proposto da Tore Hansson, su di esso è sconsigliabile effettuare qualsivoglia Terapia Odontoiatrica, mentre è consigliabile sottoporlo ad una diagnosi più approfondita con l’uso del
“Protocollo Diagnostico Specifico” per Pazienti affetti da una Disfunzione Cranio-Cervico-Mandibolare, ovvero optare per una "Vigile Attesa" , seguita da una ulteriore rivalutazione del Caso Clinico .
In questo caso è possibile effettuare solo le “Terapie Odontoiatriche d’Urgenza “ , che non coinvolgano in modo “irreversibile il tavolato occlusale” dei denti del Paziente, al fine di non modificare ulteriormente un “pattern anatomo-funzionale già squilibrato perchè disfunzionale .
N.B. Il Metodo Clinico Diagnostico di "INTERCETTAZIONE DEL PAZIENTE DISFUNZIONALE ATM E CRANIO-CERVICO - MANDIBOLARE NELLA PRATICA CLINICA ODONTOIATRICA QUOTIDIANA" è rivolto agli Odontoiatri ed agli altri Specialisti che si occupano o che effettuano interventi specifici o aspecifici nella bocca dei loro Pazienti e/o negli organi e nelle strutture anatomo/funzionalmente correlate.
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