Oggetti d'impiego quotidiano e familiari a tutti, il cui uso promiscuo può tuttavia nascondere gravi insidie. A bocciare l'abitudine di molte coppie che in 'trasferta' o in casi di emergenza si scambiano lamette o spazzolino, a volte passandolo addirittura sui denti del loro bambino, è Savino Bruno, direttore della Struttura complessa di Medicina interna e ed epatologia dell'ospedale Fatebenefratelli di Milano. L'esperto è intervenuto oggi a un incontro promosso da Roche a margine del 43esimo meeting dell'Associazione europea per lo studio del fegato (Easl), in corso nel capoluogo lombardo fino al 27 aprile.
Accanto alle classiche cause di epatite C, ossia trasfusioni ricevute prima degli anni '90 o scambi di siringhe con sangue infetto, fra le 'moderne' fonti di malattie c'è anche la mancata osservanza delle più elementari norme igieniche. Sempre più spesso tra le mura di casa, perché i centri estetici o di body-painting "almeno in teoria dovrebbero essere certificati", spiega Bruno all'ADNKRONOS SALUTE. Un "pericolo reale" diventa quindi l'uso 'di coppia', o peggio ancora 'di famiglia', di "spazzolini da denti, rasoi e strumenti per manicure e pedicure". Se chi li usa ha l'infezione magari senza nemmeno saperlo, e se l'attrezzo si sporca di sangue e subito dopo viene passato al compagno o al figlio, il contagio è in agguato. "Casi non diffusissimi, ma dimostrati da uno studio condotto proprio in Italia - riferisce lo specialista - secondo cui tra le coppie che non si scambiano spazzolini e rasoi la diffusione dell'epatite C è inferiore allo 0,2%. Praticamente è pari a zero", precisa Bruno. "Calcolare quanti casi di epatite sono correlati a un'igiene scorretta è impossibile - afferma l'epatologo - Otto volte su 10, infatti, non sappiamo con certezza come il paziente ha contratto l'epatite C". E non sono nemmeno definitivi i numeri della malattia, perché tra il momento dell'infezione e l'insorgenza dei primi sintomi possono passare decenni, "anche 30 anni". L'epatite C viene perciò definita 'epidemia silenziosa', con cifre "molto probabilmente sottostimate e una grande quota di sommerso", avverte l'esperto. Le stime più recenti indicano che l'infezione colpisce nel mondo 180 milioni di persone, causando in Occidente il 70% delle infezioni virali croniche, il 50% delle cirrosi terminali e dei tumori epatici e il 30-40% dei trapianti di fegato. Soltanto in Italia, l'epatite C colpisce almeno un milione e 800 mila persone, "più al Sud che al Nord", puntualizza Bruno.
La prevalenza della patologia nella Penisola è pari in media "al 3% in base ai molti studi epidemiologici condotti", ricorda. Una percentuale record in Europa, se confrontata con quelle di altri 8 Paesi vicini allo Stivale. "L'impatto sociale dell'epatite C in Italia è altissimo", conferma Ivan Gardini, presidente dell'associazione di pazienti EpaC onlus. Gardini ha scoperto la sua malattia "per caso e già in stadio di cirrosi avanzata - racconta - Ho subito un trapianto di fegato e sono vicino al secondo, perché il virus ha aggredito anche il nuovo organo". Solo "nel 2003, in Italia si sono registrate quasi 14 mila morti riconducibili all'epatite C. Eppure l'informazione da parte delle Istituzioni è nulla - incalza - e i soldi vengono spesi per sostenere la lotta ad altre emergenze meno diffuse. Prevenzione e diagnosi precoce sono invece fondamentali per abbattere cirrosi e cancro, pertanto urgono screening selettivi sui gruppi a rischio". Chiedere più attenzione ai Governi sarà l'obiettivo di oltre 200 associazioni nella Giornata mondiale sull'epatite (19 maggio), e il 17 maggio a Roma EpaC onlus riunirà in un maxi-convegno i pazienti italiani ed europei.
AdnKronos Salute