L’estrazione del terzo molare, meglio noto come dente del giudizio, ha rappresentato per anni l’intervento più eseguito all’interno degli studi dentistici, superato solo negli ultimi lustri dall’avvento dell’implantologia e della chirurgia parodontale.
Esso è dovuto alle complicazioni che a volte si accompagnano all'eruzione che avviene con tempistiche diverse nei giovani adulti di entrambi i sessi. Si va dalla semplice infiammazione dei tessuti mucosi viciniori, pericoronarite, fino alla formazione di dolorosi ascessi, disodontiasi, con impotenza funzionale e rialzo febbrile con nei casi più gravi, fortunatamente dell’epoca preantibiotica, osteomieliti. Sintomi che portano i pazienti all’osservazione clinica e che li riducono soventemente ad uno stato di prostrazione profonda. Esso, nella sua accezione classica, è sempre stato inteso come estrazione del dente inferiore, infatti a quest’elemento si sono sempre correlate le maggiori difficoltà chirurgiche e le più frequenti complicazioni.
Si può tranquillamente affermare che oggi non è più così frequentemente proposta negli studi degli odontoiatri; questo perché la conoscenza clinica che questi hanno della reale necessità della procedura chirurgica fa si che sempre più questa pratica sia effettuata negli studi di medici interventisti, che seguono le proprie inclinazioni chirurgiche. Ciò si spiega facilmente considerando che tra i medici chirurghi non odontoiatri e non specialisti in odontostomatologia che praticano l’odontoiatria,ve ne sono di variabile preparazione professionale. Infatti, non essendo stati sottoposti a programmi di studio specifici, spesso da autodidatta si sono trovati per diritto acquisito o perchè concesso loro dalle leggi sanitarie, ad esercitare senza magari aver avuto nel loro corso di studi alcuna formazione specifica nel campo odontoiatrico,questo pur essendovi fra di loro grandissimi professionisti. Oppure, ancora perché specialisti in chirurgia maxillo facciale e quindi con alta specializzazione chirurgica per certi versi affini, ma scarsa di specificità odontoiatrica. Questi eseguono in sala operatoria l’intervento seguendo la loro formazione chirurgica portata alle resezioni ossee per i dismorfismi facciali, l’oncologia, i traumatismi, tendendo soventemente a resezioni ossee troppo importanti per non essere causa di elevata morbidità post intervento nel paziente. In definitiva esso è troppo di sovente effettuato da medici che non seguono i pazienti con elementi dentali in malposizione perché tendendo ad estrarli sempre al minimo accenno di problema non sono in grado di valutare quando la clinica consente l’astensione od impone senz’altro un’estrazione, proprio perché tendono a non vederne più.
Fermo restando, comunque, che quando l’estrazione è necessaria essa va eseguita, andiamo a vedere quando effettivamente essa si rende indispensabile. In generale si possono escludere tutti quegli elementi profondamente inclusi in sede intraossea. Fanno eccezione quei denti cui sono associate lesioni cistiche della guaina epiteliale che li circonda,ancora quei denti che si impegnano sulla radici dell’elemento dentale ad esso anteriore e che per questo potrebbero causarne la rizolisi, ossia il riassorbimento. Ancora quei denti in inclusione ossea totale che dovessero trovarsi all’interno della rima di una frattura mandibolare oppure che, per la loro presenza, renderebbero alto il rischio di tale evenienza in quel determinato paziente. Oppure in quel paziente il cui quadro clinico lo suggerisce per via di possibili rischi derivanti da terapie chemioterapiche o radioterapiche cui deve essere sottoposto ed in cui una possibile futura, accensione acuta di patologia dentale potrebbe aggravarne le condizioni cliniche.
In generale la condizione clinica in cui più soventemente si è indotti, a buon motivo, nella proposta terapeutica di un’estrazione chirurgica è quella del dente parzialmente erotto e malposizionato con inclinazioni del piano occlusale che contribuiscono a creare zone di ristagno di cibo oppure che si incastra sotto il dente anteriore contribuendo in modo importante ad aumentare il rischio di carie in quella particolare nicchia biologica che si viene a creare, oppure elevando il rischio di creazione di una tasca parodontale o, comunque, che soventemente si renda causa di pericoronariti, ossia infiammazioni dei tessuti mucosi adiacenti la corona.
Al di fuori di queste condizioni, le uniche motivazioni valide restano solo le necessità ortognatodontiche, protesiche e, più in generale, quelle di cura del dente precedente al terzo molare, talvolta rese impossibili dalla sua presenza.
Il dente del giudizio superiore, invece, non comporta quasi mai inconvenienti particolari se non quello della masticazione dei tegumenti dovuta alla inclinazione verso l'esterno e, comunque, la sua estrazione non rappresenta quasi mai un problema chirurgico.
Concludendo, la "odontoconfusione" - che aleggia intorno alla chirurgia del terzo molare - può semplicemente essere risolta rivolgendosi ad un odontoiatra esperto in chirurgia orale. Tale specialista, portato per le sue competenze ad una mentalità conservativa, riesce a prevedere bene l’evoluzione futura di una malposizione dentale del terzo molare e la sa affrontare chirurgicamente con metodologie adatte alla conservazione delle teche ossee corticali. Saprà, inoltre, decidere quando è preferibile un’ospedalizzazione a causa di problematiche di ordine generale del paziente o per rischi correlati di difficile gestione in ambiente non ospedaliero, come ad esempio quando è facilmente prevedibile la necessità di osteosintesi a seguito di frattura o nei casi di grosse cisti del ramo mandibolare.
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