Quale significato può avere oggi la parola "deontologia", in questo mondo in cui il soggettivisno e il relativismo sembrano marcare stretto ognuno, laciando scarsi margini al tema della verità, comne se la verità fosse un fatto puramente soggettivo?
Ogni giorno ci imbattiamo su come gestire i rapporti con i colleghi, mentre l'interfaccia è il paziente. Il fatto che si possa sbagliare fa parte della logica dell'essere uomini. Anche l'uomo migliore e meglio preparato può sbagliare. Il punto è come viene gestito l'errore.
Svolgere una professione è un modo per dare una forma alla libertà personale, quindi un teatro di gestione dei valori. Bene, male, onestà, sincerità, competenza; oppure irrazionalità, leggerezza, imprudenza... Un problema etico, scegliere il valore di riferimento per un medico è di capitale importanza. Certo, se uno fa il chirurgo dovrebbe volere il bene delle persone, perché vuole risolvere. Ma nella pratica quotidiana non sempre le cose vanno così. Il punto sta nel NON NOCERE. Nel fare il meno possibile, e farlo bene. Ecco che qui il riferimento è fare bene, e fare tutto bene. A volte si vedono casi complicati, che si presentano ingarbugliati, malfatti, con danni evidenti a distanza di tempo, in cui non ci vuole molto a capire che il caso è stato gestito con leggerezza. Qual'è il comportamento deontologicamente corretto? Quali i valori di riferimento? Me lo sono chiesta molte vole, davanti agli occhi ingenui di un paziente che non riesce a capire. Quindi, quali riferimenti? Il paziente danneggiato o il collega in difficoltà o disonesto, o leggero, o utilitarista? Qui le cose si risolvono in un rapporto a tre, cioé il paziente, il collega e io che mi trovo a dare un parere, (dove a volte il paziente chiede un certificato per accertamento di danno). Tre persone in cerca di autore, direbbe Pirandello. E due valori che non si possono tacere: la verità e la persona. Non posso tacere rispetto alla verità e non possono trattare la persona con ingiustizia, cioé il paziente danneggiato come una cosa a cui si può raccontare una sciocchezza e il collega come uno che ha commesso volontariante un errore. Tra i due valori, la persona e la verità, credo sia più importante la verità senza entrare nella reputazione del collega.
Allora, se devo mettere in pratica la deontologia, sarò corretta verso la verità evitando di giudicare il collega con parole, gesti, scritti o altro. In sostanza, l'evidenza parla da sé, ma non posso far il processo alle intenzioni del collega.
Errare è umano, dispiace quando diventa volontario, ma il giudizio non è adatto tra colleghi. Non ci si accaparra i pazienti con la maldicenza. Questo si vede spesso nel mondo dei media e della politica, ma credo che non piaccia proprio a nessuno, la deontologia dovrebbe essere allargata al mondo della comunicazione interumana, per valorizzare la verità e fare che ognuno possa prendersi le sue responsabilità.
Ogni giorno ci imbattiamo su come gestire i rapporti con i colleghi, mentre l'interfaccia è il paziente. Il fatto che si possa sbagliare fa parte della logica dell'essere uomini. Anche l'uomo migliore e meglio preparato può sbagliare. Il punto è come viene gestito l'errore.
Svolgere una professione è un modo per dare una forma alla libertà personale, quindi un teatro di gestione dei valori. Bene, male, onestà, sincerità, competenza; oppure irrazionalità, leggerezza, imprudenza... Un problema etico, scegliere il valore di riferimento per un medico è di capitale importanza. Certo, se uno fa il chirurgo dovrebbe volere il bene delle persone, perché vuole risolvere. Ma nella pratica quotidiana non sempre le cose vanno così. Il punto sta nel NON NOCERE. Nel fare il meno possibile, e farlo bene. Ecco che qui il riferimento è fare bene, e fare tutto bene. A volte si vedono casi complicati, che si presentano ingarbugliati, malfatti, con danni evidenti a distanza di tempo, in cui non ci vuole molto a capire che il caso è stato gestito con leggerezza. Qual'è il comportamento deontologicamente corretto? Quali i valori di riferimento? Me lo sono chiesta molte vole, davanti agli occhi ingenui di un paziente che non riesce a capire. Quindi, quali riferimenti? Il paziente danneggiato o il collega in difficoltà o disonesto, o leggero, o utilitarista? Qui le cose si risolvono in un rapporto a tre, cioé il paziente, il collega e io che mi trovo a dare un parere, (dove a volte il paziente chiede un certificato per accertamento di danno). Tre persone in cerca di autore, direbbe Pirandello. E due valori che non si possono tacere: la verità e la persona. Non posso tacere rispetto alla verità e non possono trattare la persona con ingiustizia, cioé il paziente danneggiato come una cosa a cui si può raccontare una sciocchezza e il collega come uno che ha commesso volontariante un errore. Tra i due valori, la persona e la verità, credo sia più importante la verità senza entrare nella reputazione del collega.
Allora, se devo mettere in pratica la deontologia, sarò corretta verso la verità evitando di giudicare il collega con parole, gesti, scritti o altro. In sostanza, l'evidenza parla da sé, ma non posso far il processo alle intenzioni del collega.
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