L'incontro con una persona che chiede un consiglio, un consulto, presenta un problema, rappresenta un'occasione per vivere la propria umanità in riferimento a quella dell'altro. Uno sconosciuto, una persona che prima di presentarsi esprime con la propria espressione un vissuto, un preoccupazione. La domanda arriva alla fine, ma è preceduta da uno scrutare intenso, a cui un occhio attento non può restare indifferente. Il punto qui è non lasciare scappare l'occasione dell'incontro umano. C' è una realtà, chiamata "presentificazione", che ha il nome più generico di "empatia", che fa di solito rima con "simpatia". E' un essere presente nella persona in un modo singolare, viene anche tradotto con "mettersi nei panni di", e solo questa forma si rivela utile nel discriminare le vere attese di chi viene a chiedere. Si tratta di intuire complessivamente quello che la persona vuole dire partendo da un esame generale della persona che non lasci da parte alcun dettaglio; controllare le differenze rispetto al proprio vissuto, per esempio, consente di valutarne le abitudini. Diceva un mio professore di conservativa che nella visita si conosceva l'intero vissuto del soggeto. Non c'è bisogno di fare tante domande, basta aprire la bocca per vedere la storia di una persona: abitudini e virtù, per esempio la costanza, vengono fuori dalla obiettività di una visita odontoiatrica. Legare la persona allora significa "entrare in sintonia", in raporto empatico con questa, farla parlare, come a un amico, e in realtà si diventa amici volendo la stessa cosa, che è il bene, la salute della persona, e la risoluzione, ovvero l'individuazione di quanto è da risolvere.
Detto questo, mi viene in mente che ci sono tante storie di pazienti delusi, imbrogliati, derubati, soprattutto feriti nella fiducia messa in un dentista; danneggiati nei loro diritti di sapere la verità, una verità che non si viene a sapere che dai danni che poi dolorosamente si devono pur prendere in esame. Più che errori da imperizia, si tratta di una mancanza di rapporto umano, di un egoismo travestito da rapporto altruistico monetizzato. Non c'è amicizia se tra un medico e un paziente c'è la frode, il peculato, l'interesse privato. Si potrebbe dire che dare la fiducia a un curante allora è un grosso problema e date le esperienze anche di altri non è cosa da poco. Ma è necessario rischiare. Il malato si offre alla cieca, il dovere morale qui è altissimo.
Penso spesso che i pazienti sono bambini cresciuti, la responsabilità morale verso chi chiede aiuto è terribilmente alta, c'è un dovere essere, un "assolutamente devo" che costituisce l'impalcatura della risposta. Ecco, è un dovere costruire un buon rapporto con le persone, e onestamente constatare anche i limiti delle cose. E' anche un dovere quindi superarsi. Da parte del paziente è un diritto ricevere la verità sulle cose, sui materiali impiegati, sulle proiezioni nel tempo, sui limiti delle cose, sugli effetti collaterali. Davvero, bisogna fare come vorremmo che fosse a noi fatto. C'è una comune legge di natura che individua gli uomini come pari, e c'è una legge psichica che individua gli uomini come intelligenze. Facciamo allora che ci sia, in un incontro medico-paziente, incontro di intelligenze, rispettose però delle individualità e delle povertà reciproche.
La fiducia nel dentista, espressione di un'attesa
La fiducia nasce come espressione di attestazione nei confronti di un altro da cui ci si aspetta molto
TAG: fiducia dentista
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