Una struttura aperta a tutti, ma dedicata soprattutto ai più piccoli e ai diversamente abili.
NIENTE PANICO, C'E' IL “DENTISTA DEI BAMBINI”
Nello studio del Dottor Andrisano, a Manduria, si lavora «senza l’orologio al polso» «Con loro ci vuole molta pazienza, autentica psicologia e massima professionalità».
Lo chiamano “il dentista dei bambini”. Sui blog, sui social network, nel passaparola della gente. Dovunque possono scambiarsi aneddoti e pareri, mamme e papà desiderosi di affidare i loro figli in mani esperte arrivano, per vie diverse, a lui. Il dottor Cosimo Andrisano, con studio a Manduria, si è guadagnato passo dopo passo questa fama, nel settore dell’odontoiatria pediatrica. Ma non solo. Il titolo di “dentista dei bambini” non gli dispiace affatto, ma a condizione di mettere alcuni puntini sulle “i”. A cominciare da certe questioni di professionalità.
Dottor Andrisano, perché i bambini?
«Avendo fatto esperienza in molti ospedali, cliniche e studi privati, ho capito che il nostro sistema sanitario, molto efficiente in numerose branche mediche specialistiche, è assai scarso, se non inefficiente, nella gestione odontoiatrica dei bambini e dei diversamente abili. I quali rappresentano le fasce più deboli, che alla sofferenza per una qualsiasi patologia orale, aggiungono la mancanza o l’inefficace comunicazione».
Qual è il suo approccio con questi pazienti?
«Tengo sempre mio figlio, come modello di riferimento. Sono padre di un magnifico, e grazie a Dio, sano bimbo di 2 anni e mezzo, che è la mia vita. Inconsciamente, mi dicono i genitori dei miei piccoli pazienti, li considero e li tratto tutti come fossero miei figli. A volte, mi hanno riferito che abbia detto: dai papi, fammi vedere bene i dentini».
E come riesce a conciliare l’aspetto umano con quello professionale?
«Quando, nello svolgere una professione, sei a contatto quotidiano con persone che soffrono e che vogliono tornare a stare bene, possono succedere solo due cose. La prima è che resti impassibile, come consigliavano i miei docenti ai tempi dell'università. Oppure ti incasini la vita, come me. Questo vuol dire sacrificare il 90 percento di vita sociale, investire tutto il tempo e il denaro nella ricerca spasmodica di quella strumentazione e formazione che ti permette di dire: Non si preoccupi, risolverò il problema di suo figlio».
Quali sono i problemi più frequenti?
«Nel 95 percento degli accessi in struttura, si tratta di soggetti già sottoposti a trattamenti odontoiatrici, reduci da fallimenti tecnici. Si parte dalla psiche, dal vissuto, quindi si allontanano le esperienze negative e si affronta il problema».
Scusi, ma si tratta solo di psicologia?
«Beh, direi proprio di no! Bisogna avere tatto con i bambini, entrare nel loro mondo come Peter Pan, essere cultori della fisiologia della patologia e della cronologia di sviluppo del soggetto in età evolutiva; avere padronanza e casistica sulla situazione; attrezzarsi sicuramente della tecnologia all'avanguardia ma, soprattutto, non avere fretta. Nel mio studio, non abbiamo l'orologio al polso».
Detto in questi termini, sembra facile.
«Non proprio. Buoni clinici, sia chiaro, in giro, ce ne sono a volontà. Ma finché non si capisce che i bambini non sono adulti in miniatura, qualsiasi approccio psico-clinico non porterà mai ad ottimi risultati. Vedere un genitore che si commuove, a fine seduta e non smette di ringraziarti per aver risolto una situazione che si trascinava da anni, posso garantire che è la migliore ricompensa per un padre e medico».
Un modello di medicina “alternativo”, non c’è che dire.
«Credetemi, nell'era della mercificazione in cui tutto si deve ricondurre a costi e ricavi per non chiudere i battenti, diviene sempre più difficile riuscire ad espletare con lucidità operativa una prestazione complessa come su un bambino/adulto politraumatizzato da cure ed approcci errati. Ovviamente, se si conosce la farmacologia, si riesce a lavorare meglio. É l'esempio della sedazione cosciente».
Di che si tratta?
«Nulla di fantascientifico. È una combinazione di gas, da respirare con una mascherina nasale (protossido d'azoto ed ossigeno) che miscelati in percentuali soggettive a seconda del paziente, abbassano lo stato d'ansia e aumentano la soglia del dolore».
Quindi addio punture?
«Beh, non generalizzerei. Alzare la soglia del dolore vuol dire avere percezione del dolore molto più tardi, rispetto a quando lo stimolo doloroso viene evocato senza sedazione. Ad ogni modo, anche la sensazione dell'anestetico locale non è vissuta più come drammatica. Quindi si fanno meno punture, per rendere l'idea».
Ma è una pratica sicura?
«Certo che sì! Nel mio studio adoperiamo esclusivamente protocolli clinici e farmacologici comprovati da ricerche mediche internazionali. Valutiamo di volta in volta rischi e benefici. Quando questi ultimi sono superiori ai rischi, promuoviamo un trattamento».
E quali sono i rischi?
«Onestamente, non ne ce ne sono. Basta escludere i pazienti non idonei. Però, vorrei raccontare un aneddoto».
Faccia pure.
«Stavamo curando un paziente diversamente abile, reduce anch'esso da numerose e devastanti esperienze fallimentari. A un certo punto, suo padre mi chiede di provare anch’egli il trattamento».
Avrà gentilmente rifiutato.
«E perché avrei dovuto? Dopo l'anamnesi di rito, acconsento al trattamento e lui, subito, prende appuntamento per un ciclo di cure per se stesso. Aveva anche lui, dopo aver vissuto un esperienza splendida e leggera, non stressante superato la fobia del dentista. Un successone no?»
D’accordo, ma questo “smentisce” un po’ il suo brand di dentista dei bambini. Lei cura anche gli adulti!
«Ovviamente, curiamo tutti. Prediligiamo coloro che, purtroppo, o per fobia o per scarsa collaborazione (tipo i bambini e diversamente abili) rimarrebbero senza medici di riferimento. I miei pazienti diversamente abili, li tratto come se fossero miei fratelli e gli adulti come genitori o nonni. Siccome le sfide mi piacciono, ho voluto risolvere anche altri problemi».
Per esempio?
«C’è gente che non può "mettere i denti fissi " perché non ha più le condizioni ossee. Quindi addio sogno di mangiare un panino in libertà, senza la classica dentiera. Ma la medicina fa passi in avanti. Ho affinato da tempo una particolare tecnica di chirurgia, che mi consente, nel 90 percento dei casi, di restituire al paziente il sorriso perso da tempo e la possibilità di mangiare bene e sano. E sapete qual è la cosa bella?»
Lo dica lei.
«Che è una tecnica chirurgica molto meno invasiva, dolorosa e fastidiosa di quello che si pensa».
Allora perché non è molto sponsorizzata?
«Questione di tecnica. Ci sono distretti anatomici in cui, per mancata conoscenza chirurgica di un distretto, un operatore non osa operare. Quindi è molto più semplice dire non si può fare. E allora si propone una dentiera, pur di non ammettere di non saper fare di meglio. Non so se mi spiego…»
Altroché. Ma lei, abbia pazienza, non ha paura di nulla? Dalla chirurgia avanzata ai bambini "terribili"…
«Per niente. Si ha paura di tutto quello che non si conosce. Basta metterci la testa e ragionare sulle cose. Basta formarsi nel posto giusto con la gente giusta! E studiare, studiare, studiare!»
Un’ultima domanda, se consente. Questo spirito grintoso da chi lo ha ereditato? È forse figlio d'arte?
«ahhaha sarebbe stato tutto più semplice per me se avessi ereditato uno studio dentistico mi creda. Magari. O forse è meglio così. Sono cresciuto in una famiglia di agricoltori, gente sempre serena e dedita al lavoro, che mi hanno insegnato la semplicità e il rispetto del prossimo. A 15 anni, volevo seguire le orme di mio padre in campagna, ma poi a 18 mi sono iscritto invece al corso di laurea in infermieristica. Appena laureato, ho fatto il concorso in odontoiatria e mi sono rimesso in discussione. Poi la voglia di conoscere altre realtà e di imparare il meglio, anche dagli errori degli altri, hanno fatto il resto. Ai miei posteri, insegnerò a fare lo stesso. Come si dice, nessuno nasce imparato, noi siamo il risultato di chi ci ha preceduto».
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